Un lungo anello intorno e sul Pizzo di Sevo

Monte le Vene, Macera della Morte, il Pizzitello ed il Pizzo di Sevo interminabile bellissimo anello sui 2000 a nord della Laga

La Laga questa sconosciuta. O questa catena ostile, o antipatica, insomma la catena che non attira Arai Sottile. Nella storia del gruppo c’è sempre stato un atteggiamento di sufficienza verso questo gruppo montuoso; tante volte entrato nelle possibilità escursionistiche e tante volte per un motivo od un altro messo in disparte. Anche in questo week end stava per succedere la stessa cosa poi una discussione filosofica sul da farsi tra me e Giorgio ha spostato definitivamente la scelta verso la Laga. La solita Salaria di mezzo, piena di Velox, la scelta della base di partenza per l’attacco che ha subito una variazione all’ultimo momento per via di informazioni dubbiose sulla strada che coinduce all’Inversaturo per lo stato della sua fattibilità e soprattutto del suo possibile accesso e alla fine la scelta di attaccare da Macchie Piane. Alle 6 e 40 la giornata prometteva un caldo atroce e solo un venticello gradevole e il versante in ombra spostavano le sofferenze alle tarde ore della mattina. Siamo saliti per un primo tratto per la normale del Sevo, poi subito fuori dalle ultime faggete abbiamo piegato a nord sopra il canale e l’omonimo fosso di Macchie. Senza strappi abbiamo aggirato il versante del Sevo e abbiamo guadagnato quota fino alle pendici del Pizzitello. Dopo il passaggio di alcuni fossi ancora debolmente carichi di acqua ma di indubbia scenografia l’orizzonte si apre verso la mole del Vettore. Indubbiamente questo versante della Laga è il balcone diretto verso i Sibillini e da qui il Vettore e le sue correlate vette Sud formano un bastione davvero affascinante e colossale. Peccato fosse un po’ coperto dalla caligine estiva. Anche la nostra prima meta, il Monte Le Vene si affaccia nel panorama che abbiamo davanti; una mini vetta, un promontoirio appena pronunciato sembra, la naturale continuità del Monte Inversaturo. Una banale passeggiata sembrerebbe. Invece per arrivare abbiamo dovuto passare una serie di fossi e cascatelle; un su e giù per aggirare le incassate vie di fuga degli scoli degli ultimi nevai. E più su anche delle formazioni rocciose scavate nel pendio, piccoli affascianti canyon in qualche caso profondissimi anche se stretti ci hanno scostretto a continui saliscendi. Fino a raggiungere l’erbosa dorsale. I giochi dell’acqua sulle pietre lisce perennemente levigate dall’acqua sono stati un piccolo assaggio delle tanto famose cascate della Laga. Piccoli esempi che hanno rinverdito in noi il desiderio di conoscere meglio questa catena. Aria Sottile si dovrà interrogare sul perché di tanta ostilità verso questa catena montuosa! Una volta in cresta il resto fino al Monte Le Vene è stata una comoda carrareccia utilizzata dai pastori. Le Vene si eleva dal piano di una quarantina di metri, poco più di una collina. Sono le 8 e 40 e sostiamo il tempo necessario per qualche foto e per individuare, carta alla mano, la nostra prossima meta, Macera della Morte. L’altipiano in quel punto presenta una serie di promontori in cui l’unica certezza è il Pizzo di Sevo. Poco inclinato da questo versante ma inequivocabile non fosse che per la presenza della poderosa croce di vetta. Individuiamo, grazie alla carta, Macera della Morte, nella catena più lontana dal punto dove eravamo; ci è preeso un colpo! Il sole era già alto, il Pizzitello era lì dietro a portata di mano, che fare? L’unica cosa possibile, volgere con pazienza verso Macera della Morte. Tagliamo verso est cercando di guadagnare quota lentamente. Una serie di fossi sempre belli, un nevaio e mucche al pascolo; più sotto, dove i fossi si fanno più profondi ed incassati lussureggianti boschi fanno perdere i contorni del territorio. Continuiamo su e giù per il fianco della montagna; superiamo piccole salite e fossi incassati fino a raggiungere un pianoro che conduce direttamente alle pendici della nostra seconda vetta. Anche questa come la prima si eleva di poco dall’altopiano; una sessantina di metri di cespugli erbosi. Alle 9,10 raggiungiamo una lunga cresta insignificante, una doppia vetta poco pronunciata. E’ Macera della Morte. Nell’altro versante solo foreste intricatissime che promettono acqua e fresco e dietro, l’orizzonte, è chiuso dalla presenza delle moli delle Montagne Gemelle. Il tempo di una perlustrazione, delle solite foto e vista la folta presenza di fastidiosissimi tafani riscendiamo a valle, sulla sella dove ci fermiamo per una seconda sosta mangereccia. Davanti a noi la lunga salita verso il Pizzitello e dietro il Sevo, altissimo. Sotto il Rio Castellano riluccica al sole e si perde nelle foreste di San Gerbone; la valle risale sull’altro versante verso il Monte Pelone e dietro il Pizzo di Moscio, in mezzo, come una penisola sporgente, ovviamente il monte che non poteva chiamarsi diversamente e che avremmo dovuto raggiungere, il Monte di Mezzo del Sevo; con la testa siamo già lì, ma nelle gambe sentiamo il lungo giro che dovremo fare per raggiungerlo. Mosche e tafani presenti ovunque ci impongono il movimento; il sole è ormai una palla incandescente che regala solo sudore ed il vento non è più il sollievo di prima. Riprendiamo la salita; un primo incontro con una piccola croce a vegliare sulla valle sottostante, una dedica a Don Antonio Fascianelli senza una motivazione specifica e poi sempre in leggera costante salita ci affacciamo sull’anfiteatro che da sul Pizzitello. Una arco di creste e roccia che sprofonda nella valle e che convoglia lo sguardo verso la cima; un tappeto di fiori gialli sul ciglio dello strapiombo; è chiaro che ci perdiamo nel carcare di catturare quel momento nelle nostre foto. Poi fino in cima al Pizzitello è una continua salita, senza strappi, sul ciglio della cresta. Raggiungiamo la cima alle 11 e solo una volta superata capiamo il perché del toponimo. Una guglia rocciosa a perpendicolo nella valle è la vetta di questo monte. Ci fotografiamo cercando di dare alle pose il massimo del risalto rispetto al vuoto sottostante. I soliti giochi banali a far apparire la vetta come una conquista di chissà quale difficoltà! Un bell’angolo di montagna. Continuiamo a sorprenderci del nostro atteggiamento negativo verso la Laga. Da lì, nel cuore del gruppo anche queste montagne assurgono a mete obbligate. Ci chiediamo quanto possano essere belle nel momento del disgelo, più o meno nel mese di Aprile! Ci ripromettiamo di tornarci in quel periodo. Il Monte di Mezzo è lì sotto; impotizziamo di tagliare il percorso e scendere in valle per recuperare parte del lungo aggiramento che sembra inevitabile ma ogni possibilità ci viene negata dal forte pendio e dall’inconsistenza delle rocce. Non ci rimane che continuare la salita, ancora in cresta fino alla quota 2300, una quasi anticima del Sevo per poi prendere una cresta ampia ed erbosa che fa da ponte verso il nostro ultimo obiettivo ( per nostro intendo mio e di Giorgio perché per Luca anche il Sevo è una vetta vergine ). Perdiamo i cento metri di quota e raggiungiamo i 2138 metri del Monte di Mezzo alle 11 e 50. Il monte è un mammellone rotondeggiante ed erboso ed ha due grandi pregi: il primo è che si trova esattamente al centro della valle, dovunque si guardi ci sono montagne intorno; il secondo è che vista la relativa inaccessibilità non è praticato da mucche e cavalli al pascolo. Alias, non ci sono mosche. Ne aprofittiamo per concederci una piacevolissima sosta di circa un’ora. Un piacevole momento per riposare e per confrontarci tra amici. Indimenticabile momento di serenità. Lungo le pendici del Sevo un paio di ruscelli sfociano in una cascatella; troppo ripido il versante e troppo stanchi noi per pensare ad una deviazione per raggiungerla. Dal Monte di Mezzo solo uno strappo interminabile fino alla vetta del Pizzo di Sevo; trecento metro di dislivello che sotto quel sole e con i chilometri già percorsi sembrano un muro. Sembrano solamente, perché alle 13 e 15 siamo sotto la sua grossa croce. Dopo aver attraversato fioriture colorate, lingue di neve ancora resistenti e cavalli bellissimi al pascolo. Tutto rimarrà nelle nostre foto; come sempre mai renderanno le emozioni del momento. In cima al Pizzo di Sevo ci prendiamo ancora un momento bellissimo di relax. Il mondo è sotto di noi, si gioca con la croce e con le foto. Ci si addormenta al sole; scotta, non ci fa tregua; ci spinge a dover ripartire. In giù, veloci come se ci inseguissero. Mi chiedo il perché di questo atteggiamento ma mi adeguo. Davanti ho un viaggio fino ad Ancona da solo; il tempo vorrei guadagnarlo piuttosto che doverlo rincorrere. Davanti a noi il Terminillo si va coprendo di nubi prima altissime e possenti, le avevamo notate in formazione già dalla cima del Sevo, e poi si perde nella densità di formazioni compatte. E’ il preludio di un temporalle che intuiamo solo per le colonne d’acqua e per l’orizzonte che si perde nelle nuvole e che lentamemente inghiotte la catena montuosa. Temiamo per un istante che non si possa fare in tempo a raggiungere le nostre auto ma nulla accade. Noi precipitiamo letteralmente verso valle; il parcheggio di Macchie Piane è costantemente a vista e si avvicina velocemente. Cinquanta minuti per raggiungelo. Sono le tre del pomeriggio; cinquanta minuti per coprire un dislivello di settecento metri in discesa. Siamo dei folli! Non rimane che ricomporsi, riprendere verso il mondo civile, sostare ad Amatrice per trovare sollievo alla stanchezza e alla calura e salutarsi. Il saluto del commiato. Ognuno questa volta per le proprie destinazioni, ognuno in testa già la prossima giornata da passare tra le nostre montagne con le nuove agognate conquiste.

La mia prima in Laga

...lo stesso racconto secondo ... Luca...

Non lo sapevo ancora ma avrei visto il primo cippo di confine della mia breve esperienza appenninistica; il limite che segna il confine tra il Lazio, le Marche e l’Abbruzzo...proprio lì, in mezzo a due vette secondarie dei Monti della Laga, la Macera della Morte (2073 mt) e il Pizzitello (2221 mt); lo sguardo attento di Giorgio lo nota, mentre Doriano ed io intenti su quella cresta a guardare le cime più alte della catena come il Gorzano e il Lepri, avevamo addirittura distrattamente scavalcato. A quel punto la nostra avventura giornaliera non era ancora arrivata alla metà del suo tragitto, ma lo scenario inaspettato, che ci vedeva suoi protagonisti solitari in quella calda mattinata estiva, ci aveva già appagato o perlomeno ci aveva ripagato ampiamente della nostra solita alzataccia. Stavolta avevamo scelto la Laga, certi di intraprendere una tranquilla escursione su cime poco note e battute, vuoi per la loro lontananza dalle grandi città, vuoi per le loro vie d’accesso poco accattivanti e di scarsa attrattiva per i più temerari appenninisti così da rendere senza alcuna difficoltà la salita sulle punte più alte; da qui la scelta di fare almeno quattro monti, da spuntare nella lista Club 2000, per fare di una tranquilla camminata una intressante passegiata. L’avvio infatti non è stato diverso dall’attesa, ma tagliando la catena a mezzacosta, sotto la massiccia mole del Sevo, in direzione del più lontano e basso Le Vene, una serie interminabile di gobbe ondulate ed eleganti, tinte di un verde intenso e luminoso, lasciano scorrere tra di loro freschi ruscelli, ripidi e tortuosi, movimentati da tantissime e piccole cascate che ne rendono il moto incantevole; una...due...tre...ci siamo ritovati ad attaversare tante piccole vene d’acqua, linfa vitale di quel panorama che appare ora ancora più rigoglioso e florido. Il rilassante silenzio respirabile solo sui nostri monti, disturbato solo dai nostri passi e dal nostro chiacchierare divertito, talvolta rotto dal canto di un uccellino o dal ronzare di qualche insetto, veniva ora magicamente strappato dallo scorrere di quei piccoli ruscelli inizialmente in maniera flebile poi più accentuata man mano che si svelava ai nostri occhi; infine poi si assotigliava per sparire nuovamente alle nostre orecchie così da ridonarci la serenità di una calma increspata solo dal frusciare piacevole di un venticello che rendeva meno cocente un luminoso sole che inradiava la giornata. Le Vene è raggiunto alle 9:00 in poco più di due ore di cammino dalla partenza da Macchie Piane (1600 mt ca). La cima, dove in uno dei sassi posto a piramide spicca l’indicazione 2020 mt, è tonda e non presenta alcuna difficoltà d’arrampicata, ma lo spettacolo che da lì si può ammirare è davvero superbo: difronte a noi s’innalzano nella loro imponenza le vette più alte dei Sibillini: Vettore e Redentore, con la loro mole prepotente e con le loro dure linee, sfocate da una fastidiosa foschia annunciatrice della giornata caldissima che ci attendeva; dalla parte opposta si delinea la nostra seconda vetta del giorno, che avremmo raggiunto in un’oretta, la Macera della Morte, con alla sua destra il Pizzitello sovrastato in prospettiva dal Pizzo Sevo. Ci fermiamo solo il tempo per uno spuntino, per le foto di rito e per appagare la sete di tre anime amanti dei monti persi in quello scorcio intaccato di tanto in tanto solo dalla mano dell’uomo... La Macera della Morte è davvero poca cosa da raggiungere e forse ciò che più affascina è proprio il suo nome: attuale punto di confine tra tre regioni, anticamente tra due Stati, quello della Chiesa e quello delle Due Sicilie, forse in passato sarà stato teatro di atroci battaglie.... Diritto e accuminato davanti a noi svetta il Pizzitello; avanzando verso la sua cima comprendiamo sempre più il perchè del suo nome: è davvero un bel pizzo, facile da raggiungere ma che riserva la sorpresa di una caduta a picco verso la valle sottostante, uno strapiombo in grado di offrirci uno scenario ideale per foto dal grande effetto. Dalla cima del Pizzitello focalizziamo il nostro 4° monte: Monte di Mezzo del Sevo. Raggiungere quella sommità da 2138 mt non la ricorderò di certo come una delle montagne e delle escursioni più interessanti mai fatte , ma ci regalerà una delle più lunghe soste e delle più piacevoli chiacchierate fatte fra tre amici, sui loro monti, punto d’incontro delle loro passioni, accentratrici dei loro discorsi, e partenza di riflessioni più serie ed intime condivise all’unisono.La tappa su quel tondo e verde cucuzzolo ci rigenera... Risalire ora la quota persa e raggiungere il Pizzo di Sevo non ci appare più così ostico come poco prima; sono circa 300 i metri di dislivello da affrontare e la salita, seppur lenta, è costante ed interrotta solo dalle foto che d’obbligo vanno fatte a quel panorama mozzafiato e ai brachi di cavalli che incontriamo nell’ascesa. La croce del Pizzo Sevo (2419 mt) è imponente, molto alta con una struttura in ferro: la immortaleremo con le nostre macchine fotografiche più e più volte in maniera più o meno seria, come tre bambini contenti di essersi regalati un’altra vetta, un’altra bella passeggiata e di aver condiviso un’altra splendida avventura. La giornata è ora meravigliosa e sdraiarci su quell’ampia cresta come lucertole al sole vien da sé. Quando cotti a puntino, una mezz’oretta dopo, decidiamo di scendere a Macchie Piane, come le piante fanno con la fotosintesi, così noi avevamo rigenerato le nostre energie al sole. Doriano, mio Gran Visir montano, fin’ora bersaglio dei miei sfottò continui per i suoi finti lamenti di circostanza, vista la sua forma smagliante, guida una discesa verticale velocissima che ci farà bruciare quasi 850 mt in poco meno di un’ora. L’arrivo alle macchine sancisce la fine di un’altra giornata d’aria sottile....sorta alle quattro del mattino, iniziata quando il sole non ancora illuminava le vette più alte e vissuta con lo spirito di un gruppo di amici che condivide qualcosa in più di una sgambatina fuori porta: l’amore per la montagna è il punto di partenza e d’arrivo per condividere insieme emozioni, stati d’animo e voglia di ritrovare noi stessi. P.S.= il titolo di Gran Visir o Gran Vizir che dir si voglia, mi è stato imposto sotto ricatto in quanto Doriano in qualità di mio capo al lavoro m’ha minacciato di farmi lavorare per un mese dalle 10 alle 22 se non glielo avessi attribuito....